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Quei maledetti sensi di colpa dei genitori (di Teresa Ingarozza, dott.ssa psicoterapeuta)

Teresa Ingarozza - dott.ssa psicoterapeuta
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http://www.ingarozzapsicoterapeuta.it

Secondo il vocabolario Treccani senso di colpa significa: la coscienza che un individuo ha della propria colpevolezza o responsabilità di un male commesso, o che crede, anche ingiustificatamente, di aver causato, e che talvolta si manifesta con un patologico bisogno di punizione. In psicologia il senso di colpa è un sentimento umano che, collegato alla colpa, intesa come il risultato di un’azione o di un’omissione che identifica chi è colpevole, reale o presunto, di trasgressioni a regole morali, religiose o giuridiche, si manifesta a chi lo prova come una riprovazione verso sé stessi.

Scendendo ancora più nello specifico il senso di colpa spesso è legato alla nostra educazione. Per fare comprendere meglio porto l’esempio di una paziente che ho seguito in passato: T. proviene da una famiglia dove il malessere ha sempre giocato un ruolo fondamentale; a causa della malattia del padre, la mamma ha imposto la rinuncia al piacere rispetto alla vita in generale a tutta la famiglia attraverso il suo stesso esempio. T. ha appreso che se ha idee o fantastica di andare a fare un viaggio si scontra interiormente con l’esempio della madre. La rabbia che sente (lei stessa si è sentita deprivata della sana attenzione dei genitori tutti presi dalla malattia del padre) porta T. a sviluppare  sentimenti di colpa sia nei confronti della madre sia nei confronti del padre ogni qual volta tenta di progettare un viaggio o un momento di benessere con i suoi figli o il suo compagno. Solo attraverso la consapevolizzazione e l’elaborazione di questi vissuti in terapia, riassunti nella paura di perdere l’amore e la stima da parte di questi genitori, oggi T. può decidere liberamente di dare spazio ai suoi bisogni senza sentirsi in colpa.

Spesso nella pratica clinica affronto con le persone questi sentimenti e attualmente i genitori sembrano essere i maggiori rivelatori di questi stati d’animo che finiscono per danneggiare il rapporto con i propri figli ed il benessere personale.
Per comprendere meglio di cosa stiamo parlando diventa fondamentale tracciare un quadro sociale più generale in cui siamo immersi. Da più parti nella psicologia ed in particolare nella psicoanalisi si sottolinea come la nostra società sta vedendo un’inversione di valori a partire dall’’evaporazione del padre’ (Recalcati), ovvero un cambiamento epocale della figura paterna, che da punto di riferimento normativo all’interno della cerchia famigliare è divenuto una figura affettiva ed empatica. I papà un tempo non entravano in sala parto, non cambiavano i pannolini ai loro bambini; ora si. Acquisendo questo ruolo più affettivo che normativo hanno perso un po’ di quel ruolo contenitivo del passato e la famiglia si trova un po’ sguarnita di una figura che funzioni un po’ da ‘legge’. I bambini crescono il più delle volte senza la possibilità di confrontarsi con le regole che costituiscono il limite, ma anche il contenimento di emozioni altrimenti debordanti, regole che sarebbero necessarie a fortificare interiormente il bambino che potrebbe così imparare a dilatare quella richiesta pulsionale del ‘tutto e subito’. Una volta adolescenti si ritrovano con corpi adulti, anzi, a volte dimostrano anche più della loro età, ma interiormente sono fragili, non riescono ad affrontare le difficoltà proprie della vita. Spesso sentiamo parlare di suicidio in adolescenza come risultato di una incapacità ad affrontare le frustrazioni che la vita inevitabilmente presenta.

Perché tutto ciò? Oggi i genitori che decidono di avere dei figli generalmente hanno tra i 35 ed i 45 anni, lavorano entrambi, la mamma spesso è fuori casa per lavoro come il papà; spesso decidono coscientemente e questo è un bene se confrontato con l’inconsapevolezza dei nostri nonni che “i figli li facevano perché venivano”. Per certi versi i genitori attuali sono migliori di quelli di ieri, perché sono appunto più consapevoli del loro ruolo, si interessano maggiormente ai desideri dei loro figli, frequentano corsi per comprenderne di più la loro psiche e sono in una posizione d’ascolto molto attenta ai bisogni dei pargoli. 

Purtroppo però spesso, soprattutto a causa del lavoro che ne determina spesso l’assenza, madri e padri sono fuori casa e quel bambino, tanto desiderato, tanto programmato, percepito come già competente alla nascita, è lasciato solo, lasciato in compagnia di tv e cellulari, a crescere nel pre e post scuola e/o nei casi migliori con i nonni.

Naturalmente tutto ciò non sfugge ai genitori, sanno di lasciare solo il bambino e per questo ‘si sentono profondamente in colpa’. Quindi per mettere a tacere il sentimento di inadeguatezza che ne deriva mettono in atto comportamenti ‘riparatori’ cercando di riempire il vuoto da loro lasciato con cose, oggetti, giocattoli, tablet o quant’altro venga dalle richieste insistenti dei bambini.
Proprio a causa dei sensi di colpa il bambino non viene più abituato ad aspettare, ma viene gratificato spesso ancora prima che possa sentire nascere il desiderio. 

Riprendendo l’esempio di quella paziente di cui ho parlato prima, ho potuto notare durante il percorso terapeutico come, essendo una mamma lavoratrice, spesso nutriva sentimenti di colpa nei confronti in particolare della figlia femmina. Ciò accadeva perché sentiva che come sua madre l’abbandonava ogni volta che la lasciava a scuola o dai nonni. Anche lei diventava una madre abbandonica nel momento in cui lasciava la figlia. T. cercava in tutti i modi di mettere a tacere quei sensi di colpa che così tanto la mettevano in contatto con le carenze di sua madre accondiscendendo sempre a qualsiasi richiesta della bimba. Questo caso ci permette di capire come spesso i genitori si identificano nei loro figli e tramite l’identificazione inconscia rischiano di proiettare su di loro i propri vissuti filiali. Inoltre a volte può capitare che ci sia troppo scarto tra l’immagine ideale genitoriale (vorrei essere un genitore così) e quella reale (sono un genitore così); quanto più è ampio lo scarto tanto più grande è la possibilità di incorrere nei sentimenti di colpa.

Ritornando ad una analisi sociale più ampia possiamo notare come l’oggetto consumistico sia diventato un vero e proprio sostituto genitoriale; i genitori anche acquistando o accontentando il più possibile il piccolo non hanno mai la sensazione di avere fatto veramente bene, perché per quanti sforzi ‘concreti’ facciano nel riempire quel vuoto, non riescono nel profondo a sentirsi soddisfatti perché la gratificazione che vedono impressa sul volto del loro bambino è fugace, momentanea, dura quel tanto per ricominciare subito dopo a chiedere qualcos’altro perché il vuoto che si tenta di colmare non è materiale ma squisitamente affettivo.

Come venirne fuori allora?
Le mamme devono lasciare un posto di lavoro da tanto tempo così ricercato? Devono rinunciare alla conquista di una autonomia così tanto faticosamente conquistata?

Non penso proprio che la rinuncia possa lenire i sensi di colpa, anzi, il rinunciare e il sentimento di perdita forzata che ne deriverebbe potrebbe causare una rabbia profonda nei confronti di sè e del proprio bambino. A quel punto ‘per colpa di nostro figlio ho dovuto lasciare…’ non sembra essere il percorso consigliabile. Forse meglio prendere consapevolezza dell’importanza del tempo da dedicare al piccolo in modo esclusivo: giocare insieme, fare una passeggiata nel bosco, ascoltare insieme la musica e quando sono più grandicelli fermarsi a parlare delle loro cose, guardare video con loro cogliendo quello come un momento per confrontarsi su temi di loro interesse.

Allo stesso tempo è bene sapere che i confini dettati da poche ma chiare regole contengono ed il bambino come l’adolescente ne hanno bisogno come una bussola interna. Oggi i ragazzi non hanno più i punti di riferimento di un tempo, spesso non c’è la chiesa o altro credo religioso, non c’è l’oratorio, si delega tutto alla scuola che spesso stenta a svecchiare e si ritrova impreparata a gestire problematiche che solo la famiglia ha la reale possibilità di recuperare e affrontare. Lavorando con i genitori noto come il modo migliore per intervenire nell’educazione dei nostri figli sia la consapevolezza di se stessi in prima battuta, l’abbattimento dei sensi di colpa e la sicurezza che il lasciare aspettare il bambino di fronte alle sue richieste e desideri non può fare altro che fortificarlo.

http://www.ingarozzapsicoterapeuta.it

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